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  • Immagine del redattoreGiulio Centemero

MPS-UNICREDIT/ Un affare che fa presagire un’altra fusione (con Generali?)

La fretta con cui si vuole chiudere l’operazione Mps-Unicredit solleva qualche domanda sull’opportunità del deal così come presentato





L’impressione è quella di una storia già scritta. Un po’ come avvenuto nel deal di Borsa Italiana che poi ha visto la stessa entrare nel gruppo Euronext.

In Italia è così. Ti spiegano l’inevitabile, ma l’inevitabile corrisponde all’imponderabile, che equivale a dire non ci sono perché ma solo cause. Nello specifico la conclamata causa (o semplicemente il punto di inizio) è l’uscita degli stress test che hanno posizionato Mps ultimo tra le 50 banche analizzate.

Durante l’informativa del ministro Franco alle commissioni Finanze riunite, più colleghi hanno sollevato dubbi: perché basarsi sui dati stimati degli stress test e non sui dati certi della semestrale (uscita ieri con risultati inattesi, ndr)? Perché dare vita a questo tipo di deal proprio ora quando i risultati cominciano a essere positivi (per sei trimestri come ha ricordato il toscanissimo On. Guglielmo Picchi) e la NPL ratio della banca, a seguito dell’operazione Hydra del 2020, è inferiore alla media delle banche italiane?

Oggettivamente i dubbi sono diversi. Quello che personalmente mi ha un po’ allarmato è la tempistica dell’operazione: perché tanta fretta nell’implementazione dal momento che la partecipazione del Mef non è stata ancora valorizzata al massimo anche con semplici operazioni, quali l’internalizzazione delle fabbriche prodotto laddove possibile.

Poi, perché si è esclusa una richiesta di proroga oltre il 2021 presso la Commissione europea? La proroga consentirebbe infatti una miglior negoziazione anche in base agli elementi acquisiti e a eventuali azioni già citate. Soprattutto consentirebbe di non agire di fretta, perché la fretta si sa, è cattiva consigliera.

Inoltre, la presenza di una sola parte nella negoziazione, e questo è comprensibile per chiunque abbia letto anche solo un libro sulla negoziazione, diminuisce il possibile valore da trarre dalla parte cedente. Valore che non è solo monetario, ma anche sociale, tanto più che Mps è partecipata pubblica.

A proposito della partecipazione pubblica c’è sicuramente il fattore che impone trasparenza e controllo costanti, ma non in caso di operazioni straordinarie di partecipate pubbliche: Mps, infatti, pur essendo partecipata al 64% dallo Stato è però quotata e quindi alcune regole sull’evidenza pubblica, per esempio nella selezione di un partner industriale, non si applicano, mentre per qualunque partecipata non quotata, anche fosse partecipata da un Comune, le regole di trasparenza nella selezione sarebbero ai massimi livelli.

Torniamo allo status di quotata di Mps. È curioso leggere sul Financial Times di sabato scorso che Xavier Niel, patron di Iliad e imprenditore milionario francese, abbia lanciato un tender per delistare Iliad perché “d’ora in poi una nuova fase di sviluppo per Iliad richiederà più rapide trasformazioni e investimenti significativi per cui sarà più facile operare con una società non quotata”. Oggettivamente, o almeno credo, sarebbe stato utile delistare Mps prima di compiere una qualsiasi operazione straordinaria; tanto più che, interpretando le parole di Franco, la stessa dovrebbe consistere in un conferimento di ramo d’azienda ben delimitato da un’operazione che sarà capital neutral, che vedrà l’earning per share incrementare in caso di sinergie o rimanere neutrale laddove non ve ne siano, escludere gli Npe classificati tali dalla stessa Mps.

E quello che resta fuori dal perimetro? Credo sia lecito porsi tale domanda, se non altro per rispetto dei 21 mila dipendenti del gruppo, per la storia della banca più antica del mondo, per la città di Siena e per tutti quei cittadini per cui verrà meno l’offerta di un operatore del credito, in un rapporto cittadino-credito sempre più sfilacciato.

È lecito porsi la medesima domanda anche per quanto concerne i costi a carico dello Stato: durante l’informativa il ministro ha quantificato solo i 2,2 miliardi di imposte differite attive che verranno convertite in crediti d’imposta perché, secondo lo stesso, è prematuro fornire stime precise dei costi per lo Stato.

Sia chiaro, Orcel fa il suo mestiere e lo fa bene. È un bravo manager chiamato in un gruppo che ha visto alcuni manager a mio avviso meno competenti di lui. È un bravo manager, fa il suo lavoro così come noi parlamentari dobbiamo tutelare il bene comune, misurabile in base a più fattori, anche e soprattutto non monetari e per dirla con una sigla che va di moda: fattori ESG.

Dobbiamo anche vigilare affinché trasparenza, regole di mercato e reciprocità con eventuali attori esteri vigano, poiché elementi fondamentali di uno stato di diritto. Non possiamo che rimanere in attesa del pacchetto che il ministro Franco vorrà presentarci. Sono sicuro che questa operazione non sia che il preludio a ulteriore M&A. Direzione Generali?


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