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Immagine del redattoreGiulio Centemero

WEBINAR CRYPTOVALUTE: RITORNO AL FUTURO?

Aggiornamento: 4 mar 2022



Durante il webinar ‘Cryptovalute: ritorno al futuro’ con gli ospiti abbiamo discusso del tema delle cryptovalute scoprendo cosa si intende con questa definizione, come si inquadrano in ambito fiscale e giuridico, quale è la loro storia. Abbiamo anche analizzato il punto di vista politico di due parlamentari, due colleghi: un europarlamentare e un membro della VI commissione Finanze alla Camera. Il primo ad intervenire sull’argomento è stato il coordinatore del dipartimento Economia della Lega, il senatore, prof. Alberto Bagnai. Dopo aver ricordato la strutturazione del Dipartimento in cinque unità (politiche di bilancio, politiche fiscali, settore bancario, mercati finanziari e regole europee) il sen. Bagnai ha salutato questo primo evento dell’unità mercati evidenziandone il significato di occasione di confronto pubblico e partecipato con la comunità accademica e professionale su temi determinanti per il Paese. Ha poi sottolineato che gli economisti del Dipartimento economia hanno numerosi incontri con docenti universitari e con altri esperti dei vari settori, ma che la Lega intende creare anche occasioni di confronto pubblico e aperto ad altre forze politiche: “perché riteniamo sia un valore aggiunto che possiamo dare alla comunità”. Questa esigenza è tanto più sentita a proposito del tema delle cryptovalute, “un tema del quale sentiamo parlare molto ma del quale credo che si sappia poco”. Per inquadrare il tema, il Sen. Bagnai ha fatto riferimento alla tassonomia delle forme di moneta digitale proposta da Linneman Bech e Garrat nel 2017. “Le cryptovalute non vanno confuse con altre forme di valuta digitale, come la consueta moneta elettronica rappresentata dalla mobilitazione con carta di debito di un deposito bancario. La cryptovalute hanno come caratteristica specifica quella di essere valute elettroniche non emesse da banca centrale (come i depositi bancari) ma non intermediate da un’istituzione finanziaria (ad esempio, una banca), cioè di essere valute peer-to-peer. Le prospettive aperte da questo fenomeno sono interessanti, ci rinviano alle riflessioni su quali siano i fondamenti del valore della moneta, e a una estrema cautela per evitare che si manifestino in questo mercato fenomeni di bolle speculative, in qualche modo connaturati all’affermarsi dell’economia capitalistica a partire dalla famosa bolla dei tulipani nel ‘600 olandese. Per analizzarne i profili fiscali è poi intervenuto il secondo ospite, un’istituzione del diritto tributario italiano, il prof. Marco Miccinesi, professore dell’Università Cattolica di Milano, che ha sempre seguito con attenzione la nascita e sviluppo del fisco italiano: “La nascita delle cryptovalute è sicuramente ad oggi un salto nel futuro, è necessario confrontarsi con una realtà economica e finanziaria totalmente nuova per il nostro ordinamento tributario. In ambito fiscale il fenomeno delle cryptovalute tocca i temi dell’imposizione sui redditi e della sostituzione di imposta: come tutte le cose che appaiono per la prima volta, attraversa ma si distacca dal tessuto dell’esistente, dunque dobbiamo stare attenti a non imbrigliarlo nelle categorie a noi note, giacché il fenomeno ha grandi aspetti di novità. In altri termini, emerge un problema di metodo, rispetto al quale l’approccio migliore sembra quello di muovere dalla comprensione del fenomeno per armonizzarlo con i principi del sistema in base alle sue funzioni economiche. Non si tratta di un’opera di mera sutura, ma del tentativo di una lettura che parta dalla rilevanza che le criptovalute possono assumere in termini di impatto sulla realtà economica. Va ricordato a questo proposito che nel diritto tributario le forme giuridiche si rilevano e si apprezzano in base alle sostanza economica di cui colgono l’aspetto funzionale. Questa è la via più corretta per il giurista per affrontare il nostro tema. Noi sappiamo che le transazioni di cryptovalute sono anonime, con bassi costi di transazione e con un crescente sviluppo. Le funzioni delle cryptovalute (o cripto assets) sono almeno tre: mezzi di pagamento, utily token, security. Questa tripartizione funzionale è il punto di partenza per affermare che il diritto tributario dovrò tener conto delle diverse funzioni che la cryptovaluta assolve. Guardandola in termini positivi, anche in vista degli obblighi dell’ antiriciclaggio, le ultime direttive europee hanno assoggettato a doveri di segnalazione i soggetti professionalmente coinvolti per assicurare che questa materia non sfugga ai presidi di legalità e trasparenza. La definizione di moneta virtuale nella disciplina antiriciclaggio è “la rappresentazione digitale di un valore non emessa né garantita dalla Banca Centrale o da un autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale che ha utilizzato come mezzo di scambio per l’acquisto di beni o servizi o per finalità di investimento” e già in questa definizione emerge la duplicità di funzioni che poi diventa, come sopra detto, tripartita. L’approccio funzionale è, del resto, quello che ha prescelto la Corte di Giustizia, negando che la moneta virtuale sia un bene materiale e riconducendo le transazioni sulla moneta tra le operazioni esenti, cioè le operazioni finanziarie, assoggettando di conseguenza queste transazioni all’imposta sul valore aggiunto. I temi più rilevanti, al fine delle imposte sui redditi, laddove abbiamo la possibilità di qualificare un’impresa operante con valute non tradizionali, sono quelli, relativi alla valutazione di fine esercizio della moneta disponibile, che si interfacciano con i principi contabili, o meglio, con la capacità di collocare adeguatamente il fenomeno alla luce dei principi contabili; in specie, valutando quando le le cryptovalute non sono strumenti finanziari per la destinazione loro impressa Qui è importante il profilo dell’attività svolta dal soggetto, nel cui ambito le cryptovalute possono essere detenute per investimenti. Si deve altresì tener conto anche delle ipotesi che si collegano alla situazione del soggetto che opera negoziazioni in cryptovalute senza esserne inventore: al riguardo l’agenzia delle entrate si è pronunciata con una risoluzione di qualche anno fa stabilendo che le operazioni, non generano redditi imponibili in assenza di una preordinata operazione speculativa. Il professore Miccinesi ha ritenuto molto importante quanto previsto nella proposta di legge per l’istituzione di un comitato interministeriale sull’economia digitale, un’attività normativa di immediato intervento su questo settore, e lo ha ritenuto un tema di attenta osservazione per chi si occupa di diritto tributario. “C’è bisogno di un principio, da stabilire attraverso una legge delega, affinchè il Governo sia in grado di intervenire tecnicamente sulle disposizioni in essere, adeguandole e armonizzandole, rispetto al fenomeno economico che la legge delega può identificare: nel nostro caso in riferimento alla negoziazione delle cryptovalute come metodo di pagamento, evitando ritardi di risposte. È importante assicurare che in futuro vi siano norme che intervengono, piuttosto che frammenti di prassi”. Passando poi all’inquadramento giuridico è intervenuta l’avvocato Monica Alberti dello 7 studio Mascetti di Milano, secondo la quale: “la qualificazione giuridica delle cryptovalute è un tema aperto, su cui gli interpreti sono chiamati ad interrogarsi nella prassi quotidiana. La qualificazione giuridica è rilevante anche per comprendere gli eventuali istituti applicabili e le forme di tutela apprestabili dall’ordinamento. A livello internazionale non esistono interpretazioni giuridiche univoche. L’inquadramento, sia in giurisprudenza che in dottrina, non senza difficoltà, tenta continuamente di offrire classificazioni sotto un profilo funzionale, cioè in base al diverso utilizzo che hanno le cryptovalute. Si è tentato così, in più occasioni, di fornire classificazioni, utilizzando categorie giuridiche differenti (dalla rappresentazione digitale di valore, mezzi di pagamento, valute, strumenti di investimento) a seconda dei profili che vengono sottoposti all’autorità giudiziaria, piuttosto che quella amministrativa o di natura civile, penale, tributaria. Le varie interpretazione si possono raggruppare in due orientamenti principali: uno che muove dal diritto civile e che qualifica le cryptovalute come bene ai sensi dell’art. 810 del codice civile; l’altro come strumento squisitamente finanziario. L’art. 810 c.c. prevede che “siano beni le cose che possono formare oggetto di diritto” quindi le cryptovalute possono essere assimilate a beni mobili, ma in ragione dell’assenza di supporto fisico potremmo definirle beni mobili immateriali. Questa è una definizione che viene però osteggiata dalla consolidata interpretazione del concetto di cose, che vengono intese nel senso corporale del termine e le cryptovalute sono in realtà beni immateriali. Questa interpretazione, considerando il sitema deoi beni giuridici come tipico, non consente l’estensione del concetto di bene alle entità o alle risorse incorporali. Possono essere considerati tali, soltanto tutti quei beni oggetto di espressa statuizione normativa che le considera come tali, e le cryptovalute non lo sarebbero perché non c’è una definizione normativa. Il numero chiuso di beni immateriali andrebbe ricercato in quelle leggi quali: la normativa sulle licenze e sulla proprietà intellettuale o nella legge sul diritto di autore all’interno della quale vengono elencate opere di ingegno e, addirittura, qualche autore ha cercato di far rientrare proprio i bitcoin all’interno dei beni materiali all’interno dell’art. 810 c.c. come un’opera d’ingegno, in quanto si tratta di una nuova opera d’ingegno in considerazione ad esempio del soggetto che crea i Bitcoin. Viene, perciò, sottolineato come l’apporto intellettuale sia in realtà minimo, perché il miner si limita solo a intervenire sull’ algoritmo. Anche questa impostazione teorica, che tenta di ricondurre ad attività intellettuali le cryptovalute, viene osteggiata da più parti. L’altro orientamento, a cui aderisce la giurisprudenza, quello per cui anche da ultimo, è quello che qualifica le cripto valute come uno strumento finanziario. Una delle primissime sentenze è quella nota del Tribunale di Verona del 2017, che qualifica il Bitcoin come uno strumento finanziario: si trattava di una vicenda in cui la parte attrice aveva acquistato con del denaro corrente delle cryptovalute e dopo alcune vicissitudini la parte acquirente aveva deciso di condannare la nullità del contratto per violazione dell’articolo 67 e ss del Codice del Consumo. Il tribunale riconoscendo effettivamente la mancanza di informativa precontrattuale, aveva accolto la domanda del ricorrente sancendo la nullità del contratto ed entrando nel merito della questione giuridica delle cripto valute, definendole come attività finanziarie. Dalla lettura di questa sentenza emerge che le valute virtuali svolgono una funzione di investimento, e nel caso di specie, la piattaforma su cui venivano acquistate non forniva quel prospetto informativo sui prodotti di investimento normalmente offerti. Altre sentenze successive si sono adeguate a riconoscere, in casi analoghi, le cryptovalute come strumento di investimento finanziario: degna di nota è la recente sentenza della corte di cassazione del 2020, che per la prima volta in un procedimento per riciclaggio del tribunale di Milano, si sofferma sulla natura giuridica delle valute virtuali assoggettandole alla normativa del testo unico in materia finanziaria (decreto legislativo 9858). La suprema corte secondo gli ordinamenti espressi da queste sentenze di merito qualifica le cryptovalute come strumenti finanziari, ponendo, nel caso specifico, l’accento sul fatto che la forma di investimento veniva pubblicizzata come una vera e propria forma di investimento, in cui si davano informazioni idonee a mettere il risparmiatore in situazione di valutare l’investimento. La suprema corte, ravvisava nel caso specifico, la sussistenza del reato di abusivismo finanziario come indicato nell’articolo 167 del Tuf, questo inquadramento che pare essere quello più condivisibile, soprattutto per gli operatori. Un’altra sentenza degna di nota, per sottolineare la frammentarietà nella prassi giurisprudenziale, è quella del tribunale di Firenze del 2019 della sezione fallimentare, nella quale il tribunale aveva dichiarato il fallimento di un exchange online. Si tratta di una sentenza interessante perché mette insieme due orientamenti: quello che vuole qualificare le cryptovalute come bene ai sensi dell’articolo 810, ma anche come strumento finanziario. Nella fattispecie il tribunale aveva definito le cryptovalute come una digitalizzazione di valore, che può essere assimilata a un bene all’articolo 810 del codice civile, quindi un bene fungibile in quanto unità monetaria simile alla valuta ma che non è qualificata come moneta legale e che può essere oggetto di trasferimento e tassazioni. In più aggiungeva che la cryptovaluta è consumabile in ragione del suo uso e quindi un bene assolutamente fungibile. Questo evidenzia la frammentarietà della materia e quindi la necessità di un intervento regolatorio che tenga in considerazione la particolarità di questo bene e tutti i connotati tecnicistici che la caratterizzano viste le attività svolte e le tutele degli users. In sintesi, possiamo dire che le cryptovalute esistono e sono un fenomeno con il quale gli operatori di diritto sono chiamati a confrontarsi per dare un inquadramento corretto”. Successivamente è intervenuto Federico Izzi, analista tecnico-finanziario, che ci ha spiegato quali strategie sono state seguite per valutare le cryptovalute. L’ambito in cui opera è quello finanziario e la sua esperienza, ormai ventennale nei mercati tradizionali, lo ha portato all’analisi delle criptovalute negli ultimi anni: “Quando si parla di criptovalute, in primis emerge il Bitcoin. L’attenzione a questo tema è emersa soprattutto nel 2017 quando il Bitcoin, in quanto cryptovaluta più conosciuta insieme ad Ethereum (la seconda per capitalizzazione), ha iniziato a correre con il prezzo e assumere importante consistenza di valore, attirando l’attenzione di molte persone che per la prima volta si accostavano a questa tipologia di strumento, che oggi si può definire ormai al pari di ogni altro asset finanziario, perché poteva vantare un aspetto di facile guadagno. Si tratta però di un ambito scivoloso, in cui, come solitamente per il Bitcoin e per la maggior parte delle criptovalute, le notizie riportano in particolare quanto le oscillazioni influenzino selvaggiamente i prezzi sia verso l’alto che verso il basso, come sta anche accadendo in questi ultimi periodi. Come per ogni altro strumento finanziario, il valore viene determinato dal mercato attraverso la domanda e l’offerta. A differenza di quelli che sono gli strumenti finanziari tradizionali, si contraddistingue per un’altissima volatilità, e questo è dovuto agli aspetti che sono emersi poco fa. Si tratta di un fenomeno nuovo, per 8 questo difficile da valutare, dove le oscillazioni possono influenzare le quotazioni, con una forza di 10 o 20 volte in confronto ai mercati tradizionali. Per esempio lo scorso anno, con l’inizio della crisi del Covid, l’indice azionario americano S&P500 in un mese ha registrato un ribasso del 30% circa, mentre le quotazioni del Bitcoin nello stesso periodo sono arretrate di oltre il 60%. Molto spesso l’attenzione aumenta quando le quotazioni sono caratterizzate da movimenti a ribasso, perché il Bitcoin, come le criptovalute a maggiore capitalizzazione, viene considerato un possibile investimento. Guardando la storia degli ultimi 12 anni, emerge che il Bitcoin abbia dato un ritorno di rendimenti addirittura a sei cifre, come mai accaduto in precedenza su altri strumenti finanziari. Ad esempio, prendendo come riferimento i valori nell’ultimo anno, si registrano rialzi che superano il 300%. In confronto, dall’inizio dell’anno, l’indice di riferimento azionario statunitense è sui massimi assoluti, con un guadagno del 10% circa, mentre il Bitcoin, nonostante le difficoltà degli ultimi periodi, registra un rialzo del 20%. Fa molto meglio Ethereum, con un guadagno superiore al 200%. In questo caso entriamo in un ambito molto scivoloso, perché molte persone si accostano con la prospettiva di ottenere rendimenti molto facili in breve tempo, senza avere poi gli strumenti per una necessaria valutazione in questo ambito a cui prestare attenzione”. Per questo, Federico Izzi evidenzia quelle che sono le forti e le diverse oscillazioni dell’investitore: “Così come ci sono i rendimenti a rialzo, bisogna fare i conti anche con quelli a ribasso”. Rimanendo in ambito di numeri, per capire quella che è stata la crescita esponenziale del fenomeno in questo decennio, si fa riferimento alla capitalizzazione di Bitcoin. Con oltre 10.000 token ad oggi emessi, la capitalizzazione della prima cryptovaluta occupa circa il 50%, con picchi anche oltre il 70% in alcune fasi storiche. Capitalizzazione che nel mese di giugno superava i 1000 miliardi di dollari. In ambito tecnologico Apple e Microsoft per superare questa soglia di capitalizzazione hanno impiegato oltre quarant’anni, mentre Amazon oltre venti. Il primo blocco di Bitcoin è stato emesso solamente 12 anni fa: questo dà i riferimenti di come è anche difficile capire quella che potrà essere la sua evoluzione, perché nell’ultimo anno c’è stata una crescita del prezzo difficile da ipotizzare anche solamente un anno fa. Per quanto riguarda gli scambi da parte di società non regolamentate, il trasferimento della cryptovaluta può portare dei rischi elevati. Detenere un Bitcoin nel proprio wallet personale aumenta la responsabilità personale di mantenere riservate le chiavi private. Un rischio che aumenta con l’utilizzo dei fornitori di servizi che permettono l’acquisto e la vendita della cryptovaluta. Attività che, se centralizzata, richiede la fiducia di trasferire l’accesso totale al proprio portafoglio. Considerati i casi di cronaca, anche recente, sono numerose le violazioni dei server degli exchange centralizzati. Nell’ultimo anno si registra un incremento degli scambi di circa 20 volte rispetto a quelli scambiati lo scorso anno. In questi ultimi mesi stanno crescendo in maniera esponenziale l’utilizzo ed i volumi sugli exchange decentralizzati che, a differenza dei primi, offrono l’opportunità di eliminare l’intermediazione, mettendo direttamente in contatto la domanda e l’offerta degli utenti. Questa opportunità apre nuovi dubbi e fasi per quanto riguarda la regolamentazione, nel caso di dover trovare e riconoscere l’utilizzatore del Bitcoin, così come per le altre criptovalute. Bisogna considerare che il Bitcoin garantisce un semi-anonimato. Negli ultimi anni sono anche emerse società che riescono a tracciare ogni movimento del Bitcoin e in questo caso decade l’aspetto che le criptovalute possono essere utilizzate solamente per scopi illeciti. Per quanto riguarda gli investimenti, questo aspetto è ciò che solitamente attrae sempre più l’attenzione da parte delle persone che assumono rischi a volte sconosciuti. Gli strumenti già ci sono, ma bisogna fare più educazione e dare conoscenza a chi si approccia a questa tecnologia sotto l’aspetto prettamente speculativo. Bisogna essere molto cauti e non avere l’ambizione di arricchirsi in poco tempo,perché negli ultimi quattro anni ci sono stati anche periodi di forti movimenti a ribasso. In sintesi possiamo dedurre che siamo già nel futuro, si tratta di un fenomeno già presente. Per quanto riguarda i portali di trading, alcuni sono stati prontamente chiusi, mentre per altri è stata limitata l’offerta di servizi, dimostrando la presenza di una vigilanza sia ufficiale che ad opera degli stessi utilizzatori”. Visto che siamo già nel ‘futuro’ è importante capire la storia del Bitcoin e in questo ci ha aiutato Giacomo Zucco, che è un bitcoin educator consultant: “Come abbiamo detto il Bitcoin è qualcosa di nuovo che non può essere rinchiuso in schemi tradizionali, ma è anche un ritorno a qualche cosa che in maniera più rassicurante, dal punto di vista filosofico abbiamo già visto, ma non è del tutto rassicurante dal punto di vista della direzione politica. Si tratta di un ritorno ad alcune caratteristiche di sistemi monetari e di pagamenti in realtà già visti nella storia. Il primo tema che il Bitcoin va a proporre, ricercare e rimettere all’ordine del giorno è il tema della scarsità di un valore, che per la prima volta viene riprodotta nel mondo digitale dove invece era assente e ci sono dei vincoli esterni all’emissione. Pensando alla politica monetaria attuale, la quale usa come risposta al lockdown, l’alterazione della nostra base monetaria, è un tipo di risposta che oggi consideriamo scontata dal punto di vista delle politiche monetarie. Infatti la stampa è la risposta alla crisi di quei sistemi monetari che hanno dei vincoli esterni immutabili e non manipolabili scompare. Guardando bene questo fenomeno sembra di ritornare al passato ancestrale, ma in realtà è un ritorno a quello che era qualche decennio fa, la fine del gold standard con Richard Nixon. Prima di allora la manipolazione della base monetaria doveva sottomettersi a vincoli esterni molto importanti. La scarsità di trasmissione, di emissione e i vincoli alle emissioni generano anche dinamiche economiche che sono differenti. Le monete fiat a costo forzoso, emesse dalle banche centrali nazionali ed internazionali, possono essere emesse a ritmi variabili e lo stesso vale sull’ingresso del mercato di nuove obbligazioni emesse in alcuni momenti. Così la domanda risulta estremamente volatile, imprevedibile e instabile, mentre l’offerta perfettamente prevedibile dal punto di vista matematico, in modo da non essere alterata in nessun modo. Questo genera anche una differenza effettiva tra Bitcoin e asset class che in alcuni momenti si può assottigliare ma che rimane forte. La seconda caratteristica del Bitcoin è che vi è un ritorno a un mondo precedente, quello della fine degli anni 70, con la resistenza alla censura sia nei pagamenti che nella detenzione a scopo di risparmio e investimento. Siamo abituati ad una mutazione completa della natura dei pagamenti e dei risparmi in direzione di una sostanziale facilità di censura o di tracciabilità. Pensiamo per esempio al blocco dei pagamenti avvenuto nel caso di Wikileaks, che poi ha portato questo blocco dei pagamenti internazionali a MasterCard accettando Bitcoin. Dal punto di vista della confisca abbiamo dei casi attuali di persone che sono state catturate e condannate ma a cui non si possono confiscare i Bitcoin perché si tratta di una questione matematica. Chi 9 ha il numero che rappresenta la chiave privata può muovere Bitcoin e chi non ce l’ha non può muoverli, si tratta di un ritorno importante e quasi violento di strumento al portatore con un’espansione al mondo digitale aldilà della fisicità. Anche in questo caso si tratta di un ritorno inaspettato a un mondo precedente, quello che gli ultimi cinquant’anni che hanno portato a considerare, un mondo in cui esiste una forte autorità da parte dell’individuo possessore rispetto al movimento e detenzione di questi asset. Ovviamente l’individuo può essere censurato e confiscato tramite una pressione diretta sull’individuo e può svelare le chiavi, ma può essere anche soggetto a confisca e censura sulle parti centralizzate come l’exchange centrale piuttosto che i metodi di pagamento. Esiste ancora un tema di possibilità di censura, controllo e confisca, ma estremamente limitato anche dal punto di vista dei costi operativi. Se rivelassi a qualcuno il numero di bitcoin, quella persona diventerebbe automaticamente custode dei miei Bitcoin quando prima non lo era, cosa che apre a dei paradossi che erano già esistiti soltanto per il caso di Internet. Per quanto riguarda i Bitcoin abbiamo il cosiddetto libro mastro, che sta effettivamente replicato dappertutto e non esiste una nazione in cui questo non si trova a livello di server. Dall’altra parte abbiamo le chiavi segrete che permettono di scrivere su questo libro mastro che non sono da nessuna parte se non in un foglio di carta, nella testa di qualcuno o in un piccolo chip in mano alla persona. Si ritorna a due temi già visti: la scarsità resistente alla censura, di tipo nuovo, assoluta e di una totale inelasticità dell’offerta rispetto a qualsiasi livello di domanda, una cosa economicamente nuova. Alcuni temi come l’animato e la tracciabilità sono difficili da capire. Per quanto riguarda una possibile critica al titolo del webinar, “il ritorno al futuro” è un’espressione perfetta. I due temi proposti da Giacomo Zucco valgono principalmente per Bitcoin. Se pensiamo al fatto che le cryptovalute come asset cleps non hanno nessun effetto di scarsità, alcune cryptovalute hanno una supply totale, modificabile facilmente da una parte centrale e nel complesso esiste la possibilità da parte di banche centrali di emetterne di nuove. La cryptovaluta in sé non ha questo tema di scarsità, invece la cryptovaluta Bitcoin sì. Questo si riflette sulla questione economica. Il Bitcoin è decorrelato rispetto a obbligazioni e valute statali, il mercato delle cryptovalute è legato al Bitcoin con volatilità maggiore. Anche la resistenza alla censura vale per Bitcoin ma meno per altri come la moneta o token. L’altra questione di Bitcoin è dovuta anche alla sua incensurabilità, la sua neutralità e la sua natura globale”. Come ha affermato Antonio Maria Rinaldi, su questo tema non si finisce mai di imparare: “In quanto membro della commissione Econ in Parlamento Europeo ho l’incarico di relatore ombra per quanto riguarda il dossier MICA per la proposta della commissione. Oggi, 31 maggio alle ore 17:00, scadrà la deadline per la presentazione degli emendamenti. Da alcuni mesi lavoro a questo dossier e c’è stato un membro della commissione, Stephan Berger, il relatore principale, che ha fatto un ottimo lavoro presentando 14 emendamenti da implementare e verificare”. L’On. Rinaldi fa parte di ID e oggi presenterà 50 emendamenti: “ Nelle prossime settimane seguiranno altre riunioni per cercare di trovare un testo comune da portare in votazione nella commissione Econ e quando sarà licenziato un testo unico di emendamenti da portare si andrà in aula. Ho pensato di promuovere una conferenza mondiale con tutte le banche centrali e tutte le agenzie di sorveglianza dei mercati (Consob) per poter giungere a una regolamentazione comune. Questo perché rischierebbero di approvare un regolamento che già sia obsoleto. La cosa è stata recepita positivamente ma nella pratica non è stato fatto assolutamente nulla. Il rischio reale è di uscire con un regolamento a livello europeo che il giorno dopo dia la possibilità ad altri (come la Federal Reserve) di fare un regolamento migliore del nostro. Sono rimasto sconcertato vedendo che la presidente della BCE, Lagarde, un mese fa, abbia dichiarato che il 60% dei cittadini europei sono favorevoli all’euro digitale, perché è sicuro che il 60% dei 46 milioni di cittadini europei sappiano che cosa sia un euro digitale. Probabilmente Lagarde quando si riferisce all’euro digitale si rifà a forme di pagamento elettronico che non hanno niente a che vedere con ciò. In questi emendamenti ho cercato di promuovere questa conferenza mondiale anche per oltrepassare il filo molto sottile che divide le cripto attività delle cryptovalute. Alcune cripto valute, sono anche cripto attività, ma questo va definito dando una definizione, così poi si avrebbe la possibilità di poterle controllare. Le banche vedono erodere centri di business, parliamo quindi di qualcosa che mette in crisi il sistema swift e crea delle preoccupazioni alla stessa Bce. Un altro problema che ho inserito negli emendamenti è quello di verificare il campo di applicazione del regolamento tra lo scambio di cripto attività fra gli strumenti e la gestione del portafoglio di cripto asset perché non sono citati nel testo della commissione originale ma sono estremamente necessari. Se non riusciamo a capire a livello europeo che è fondamentale mettersi d’accordo rischiamo di creare di ordini geopolitici. L’ultimo intervento di questo webinar è stato quello dell’onorevole Davide Zanichelli al quale questo tema è molto caro: “Le cryptovalute hanno iniziato una rivoluzione 12 anni fa, che sta togliendo e riducendo il potere delle Banche centrali. Nel detto “si entra per la speculazione e si rimane per la rivoluzione” possiamo trovare in questo caso un fondo di verità. A differenza di altre rivoluzioni che ci sono state nella storia, la tecnologia ha fatto passi più avanti di quanto faccia una norma o una legge che vuole per normarla. Anche in questo caso c’è una comunità di persone che cerca di creare la possibilità di scambiarsi qualcosa di incensurabile perché nel passato ci sono stati episodi che evidentemente ne hanno dato motivo. In questo settore si può osservare che ci sono diversi operatori italiani che chiedono tranquillità nel poter operare mentre da un lato il contesto notevolmente varia, muta e accelera. Se infatti adesso ragioniamo di cryptovalute lo facciamo in maniera diversa rispetto a qualche anno fa, perché siamo in un mondo in rapida evoluzione”. La domanda che si è posto Zanichelli è stata: “che cosa può fare il nostro paese?”: La risposta è stata che sicuramente non si può agire sulla moneta perché non compete strettamente agli ambiti dell’attività parlamentare ma che si può pensare certamente di agire sulla politica fiscale del nostro Paese, il che gioverebbe positivamente ad una regolazione del contesto anche per le criprovalute.


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