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  • Immagine del redattoreGiulio Centemero

WEBINAR ESG: evoluzione o rivoluzione?

Aggiornamento: 4 mar 2022


Durante il webinar “ESG: evoluzione o rivoluzione?” hanno partecipato Alberto Bagnai, Angelo Meda, Mauro Del Barba, Barbara Boschetti, Franca Giansoldati e Gianmario Crescentino. Questi webinar sono una testimonianza attiva e concreta del fatto che la Lega vuole promuovere dibattiti su temi rilevanti e coinvolgere le migliori competenze per tenere informata la propria classe politica e gli esperti del settore su quali sono gli orientamenti, un travaso di conoscenze indispensabile. Il tema di oggi volge in un momento opportuno in quanto come sappiamo, all’inizio del mese la commissione europea ha varato una seconda tassonomia (dopo l’ambiente anche sulla sustainability). Nell’introdurre il webinar, il Sen. Alberto Bagnai ha svolto alcune considerazioni ispirate dal suo precedente ruolo di docente di politica economica: “Se stiamo parliamo di ESG vuol dire che forse il mercato da solo non risolve tutti i suoi problemi, dal momento che ha bisogno in qualche modo di essere orientato nell’ambito ambientale, della sostenibilità e della governance”. Ciò apre a una riflessione sull’efficienza del meccanismo di mercato e sul ruolo che la politica deve svolgere per disciplinarlo. C’è poi il tema, più concreto, di valutare alcuni orientamenti politici che vengono dall’Europa, in particolare in ambito ambientale, incorporati nel PNRR, e che rischiano di essere dannosi per le nostre aziende. Ad esempio il settore automobilistico “rischia di essere danneggiato da una transizione troppo violenta all’elettrico”. Per questo dobbiamo ricordarci che “certe parole d’ordine assolutamente condivisibili - come l’ambiente e la sostenibilità, contro cui nessun politico si pronuncerebbe, sono anche strumenti per orientare strategie industriali “e una volta riconosciuto questo dato di fatto si pone il problema di valutarle in relazione alle esigenze del nostro Paese. Si pensi ad esempio alla tassonomia degli investimenti in tema ambientale: l’esigenza di creare un level playing field, regole comuni, fra paesi diversi ci espone al serio rischio di risultare penalizzati rispetto a paesi che storicamente hanno un rischio ambientale inferiore e territori meno fragili del nostro. In questi giorni siamo sconvolti e solidali rispetto al rischio ambientale che si è manifestato in Germania, piangiamo le loro vittime e abbiamo appreso un’altra dimensione del rischio ambientale, peraltro non inedita, infatti già nel 2002 ci fu un’altra alluvione simile. Ci sono però in Europa dei rischi distribuiti in maniera asimmetrica, come quello sismico o quello vulcanico. Sorge quindi una domanda: riusciremo a gestire l’Esg in modo che non diventi un ulteriore fattore di asimmetria regolamentare a svantaggio del nostro Paese? Anche perché, dato che questi orientamenti sono un modo di fare politica, è essenziale considerare anche gli strumenti attraverso i quali questa politica si estrinseca. Si tratta per lo più di strumenti di soft law, cioè regolamenti e linee guida, per i quali non è previsto un passaggio parlamentare accurato, soprattutto quando vengono elaborati in sede europea. È quindi opportuno – ha concluso Bagnai - che la nostra attenzione sia ancora più alta ed è quindi ancora più importante questa iniziativa di dialogo e confronto”. Angelo Meda, Responsabile di ricerca Esg, ci ha parlato di quali sono le strategie di investimento relativamente a questi ultimi. Inizialmente ha fatto una sintesi per spiegare, come nella pratica questo tanto parlare di Esg si sia tradotto in scelte pratiche: “Si possono utilizzare tantissime strategie semplificate in tre grandi filoni: il primo è quello delle esclusioni; per cui se seguo una strategia esg non investendo in determinati settori, non compro titoli legati alla difesa, alle armi, anche se entriamo nella sfera un po’ più personale è difficile applicare cliente per cliente questo tipo di strategie. Il secondo è l’effetto che lui definisco “Ponzio Pilato” secondo cui, comprando da un fornitore terzo i dati, è lui che fa l’analisi: questo è costoso ma solleva tutte le aziende da eventuali analisi oggettive. Il terzo è più complicato ma dà maggiori risultati, si tratta di andare oltre i bilanci e oltre i numeri: per esempio l’economia è una scelta sociale e non una scienza matematica per cui dietro le aziende ci sono le persone. Quando si va ad analizzare un’azienda non si guarda solo il bilancio fatto di numeri ma si va a vedere chi la gestisce, quali sono le strategie, quali sono le idee e subentrano anche considerazioni esg che vanno poi declinate settore per settore (analizzare una banca è diverso da analizzare una società petrolifera da questo punto di vista). Il titolo del webinar ‘Evoluzione o rivoluzione’, porta la speranza degli operatori di mercato che ci sia un’evoluzione. Sono già 25 anni che faccio questo lavoro, ma già dal primo anno analizzavo le tematiche di inquinamento e della gestione dell’azienda. La parte sociale è arrivata a dopo, circa un decennio fa e quindi la speranza è che sia un’evoluzione. Come diceva il senatore Bagnai, purtroppo stiamo andando verso la rivoluzione, per due motivi: il primo è che il settore fa pagare di più ai clienti, inventandosi delle sigle e tanta pubblicità legata al mondo della finanza sulla sostenibilità solamente per vendere. Il secondo motivo è regolatorio, possiamo parlare della direttiva sulla sostenibilità, una serie di norme a livello europeo che sono state declinate in questi anni e che hanno creato un fardello incredibile per le società di gestione del risparmio. Una società piccola come la mia per esempio, rispetto ad altre operanti in questo settore, è obbligata a comprare quei dati prima citati per poter adempiere a obblighi normativi che sono stati imposti dall’alto ma che poi non verranno utilizzati mai nella pratica”. Meda ha notato che una strategia di analisi del mercato e delle aziende, che funziona molto più che usare i numeri è quella di parlare con gli imprenditori. Spera comunque che ci sarà molta più attenzione da parte della Consob in Italia su queste tematiche poiché non ci si può adeguare alla richiesta europea e sperare che non vengano aggiunti ulteriori i costi, incombenze e perdite di tempo per concentrarsi su ciò che aggiunge valore ai clienti. In sintesi potremmo dire che sarà cura del legislatore vigilare affinche non venga aggiunta ulteriore burocrazia o controllori sul settore. Successivamente la professoressa Barbara Boschetti, coordinatrice del Recovery Lab alla Cattolica di Milano, ci ha spiegato quali possono essere le evoluzioni esg dal punto di vista del recovery fund :”Gli Esg sono un’evoluzione e sono, al tempo stesso, in evoluzione e parte di una rivoluzione. Sono innanzitutto una evoluzione perché sono l’evoluzione strutturata di una finanza attenta alla sostenibilità. Questa finanza ha una sua storia: i primi fattori verso i quali si orienta la finanza sostenibile sono quelli sociali (la S di “social” 13 nella sigla ESG). Ebbene, gli Esg sono un’evoluzione di questa finanza, una versione strutturata, in cui s’innestano anche i fattori ambientali (la E di “environment”) e attenti ai profili etici della organizzazione d’impresa (la G di “governance). Gli Esg sono però anche in evoluzione perché sono destinati a fare i conti con il nuovo concetto di sostenibilità che si è imposto sulla scena internazionale. Una sostenibilità di matrice olistica, che supera la dimensione ambientale, e che costituisce carattere intrinsecò dello sviluppo, economico ma non solo. I fattori ESG debbono dunque fare i conti anche con gli UNSDGs, gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle nazioni unite: tali obiettivi hanno una matrice molto particolare, integrata, che li rende compatibili con tutti i settori dell’economia e sicuramente incidono sulla dimensione social e di governance dì tutti gli attori, anche finanziari ed economici. Questo giustifica la transizione verso una nuova tassonomia nel mondo ESG, con un impatto significativo a livello regolatorio, finalizzato a definire gli standard e i parametri - i levels - che ci possono aiutare negli assestment della società e dei prodotti dì investimento ESG. Questi sono appunto gli scenari evolutivi che si sono delineati di recente, come parte della strategia europea per la transizione verso una finanza sostenibile della commissione europea, pubblicata ai primi dì luglio. Non ci deve fare paura questo scenario perché questi fattori sono da tempo entrati nel dna delle imprese e ne sono parte integrante. Le ESG sono però anche parte di una vera e propria rivoluzione determinata dalle politiche pubbliche. Due in particolare: la prima è la transizione digitale e la seconda la transizione ecologica. È appunto all’interno di queste grandi transizioni-rivoluzioni (come afferma il PNRR) del nostro tempo che gli ESG vanno analizzati e compresi. Essi non sono la rivoluzione, ma possono avere un ruolo chiave nell’ambito dì queste grandi transizioni-rivoluzioni. Si tratta, infatti, di transizioni all’insegna della collaborazione tra pubblico e privato. Senza il supporto di una finanza privata orientata alla sostenibilità nessun cambiamento epocale è possibile. Questo approccio è pienamente visibile nel pnrr, ma anche a livello europeo e internazionale. Il pubblico da solo non ce la fa ed è per questo che guarda al privato, alle istituzioni finanziarie, alle imprese, agli investitori. Abbiamo bisogno della finanza sostenibile ed è in questo scenario che si inquadra l’importanza degli Esg. L’attenzione deve essere posta sulla dimensione di transizione: oggi è indispensabile avere gli strumenti di carattere finanziario, giuridico ed economico per portare l’economia tutta nella transizione, puntando sulla riconoscibilità e sulla fiducia nei prodotti Esg e sull’intero sistema finanziario. Proprio in questa prospettiva si spiegano gli interventi regolatori annunciati dalla Commissione europea e in parte già attuati. Successivamente ha preso parola l’onorevole Mauro del Barba di Italia viva, che possiamo considerare il ‘papà’ delle Società Benefit che in Italia sono state create con un emendamento alla legge finanziaria: “Le società benefit sono in essere in Italia dal 1 gennaio 2016 e come nuova forma di impresa vuole sovvertire il paradigma tradizionale secondo il quale lo scopo sociale unico dell’impresa definito nel codice civile sia quello di fare profitto, il tutto rispettando le leggi. Questo fa sì che l’impresa esg sia un soggetto passivo che in qualche modo riceve dal legislatore tutte le innovazioni come quelle che riguardano il mondo esg. Trattandosi di innovazioni pesantissime, consegneremo alla politica, in un momento in cui non sembra così in grado di garantire solidità di mercato tra le nazioni, un potere altissimo in grado di rendere più o meno competitivo un sistema nazionale rispetta un altro. Diventa un obbligo giuridico dell’impresa quello di perseguire scopi di beneficio comune sociale e ambientale, creando un mercato multidimensionale per cui l’impresa compete nelle altre imprese nella dimensione del profitto, ma compete con le altre imprese anche nella dimensione sociale e nella dimensione environment e per questo abbiamo bisogno di nuove metriche. Perché le sfide che abbiamo davanti a noi, soprattutto in ambito ambientale ma anche nella dimensione sociale, sono sfide in cui sappiamo bene che la velocità di approccio del mercato attuale non è sufficiente. Per questo mi aspetto che nei prossimi anni saranno convolti i due fronti, quello degli Stati e degli organismi sovranazionali. L’innovazione delle società benefit vuole che questa rivoluzione vada più veloce. Basta vedere cosa è successo sulla prima tassonomia europea, visto che ancora non ci si riesce a mettere d’accordo su quali siano o no le fonti di energia primaria”. La soluzione secondo l’onorevole adesso è di mercato: “Le società benefit in Italia sono più di 1000 e sono degli alfieri di questa innovazione che se fosse compiuta con il paradigma delle società potremmo ben definire rivoluzione di mercato”. Federico Donato, ha messo in rilievo le evoluzioni del mercato, partendo da un rinnovato spirito multilateralista che c’è in questo periodo. Siede da poco nell’Un Global compact di Singapore ed è Presidente della Camera di Commercio Europea Singapore in Asia: In ambito di competizione globale e visto il recente stanziamento di Biden da qualche trilione su tecnologie rinnovabili, secondo me l’Europa ha dei vantaggi sostanziali in questo momento: un vantaggio tecnologico, un vantaggio regolamentare e un vantaggio finanziario. Un vantaggio tecnologico perché qualsiasi ranking, si guardi il 40/50% delle più grandi ditte al mondo per sostenibilità, sono europee. L’Italia ha grandi campioni, al di là di Enel, è molto competitiva in tanti comparti esg. In secondo luogo la regolamentazione, l’economia ha dei rischi di fuga in avanti e di sovra-regolamentazione per cui l’Europa è spesso famosa ma anche un grande vantaggio, mentre Singapore è un paese che guarda alle tassonomie con molto interesse. Io stesso sono stato in relazione con la Banca Centrale di Singapore perché l’Europa ha una leadership regolamentare da questo punto di vista. Il terzo è un vantaggio finanziario: secondo dati Morningstar, il 77% dei fondi definiti sostenibili si trovano in Unione Europea. Partendo da questa grande supremazia finanziaria che abbiamo, è importante sfatare alcuni miti. Il primo, è il fatto che l’esg è costoso, provoca una riduzione introiti o aumento di costi. In realtà ci sono aspetti molto interessanti, sempre secondo i dati di Morningstar: su 5mila fondi europei, tra il 2009 e il 2019, il 60% ha sovraperformato le parti tradizionali e sono fondi sopravvissuti dieci anni”. La parte finale della sua riflessione, riguarda un’evoluzione che non è una rivoluzione, ma piuttosto parla di un’accelerazione: “I numeri di performance durante la pandemia sono esplosi in positivo: questo un po’ perché la pandemia ci ha fatto rendere conto di una sorta di impreparazione dei nostri sistemi economici e un po’ per moda, ma anche per lo spostamento di interesse verso l’esg. Il 70% dei fondi sostenibili è richiesto da investitori normali e soprattutto dalle ultime generazioni come i millennials. Possiamo definirlo un trend molto consolidato che ha preso molta 14 forza, accelerato dal Covid. Ci sono dei chiari vantaggi che le aziende possono avere imbarcandosi in procedure di questo tipo: una su tutti l’attrazione del talento perché il 40% dei millennials sceglie il posto di lavoro in base alle pratiche esg che vengono messe in atto dall’azienda”. Successivamente è intervenuta Franca Giansoldati, vaticanista e scrittrice di diversi libri tra cui ‘L’Alfabeto verde di Francesco’ in cui illustra il pensiero di Papa Francesco e della Chiesa rispetto all’ambiente: “Per la Chiesa e soprattutto per il pontificato di Francesco, l’ESG equivale a una piccola grande rivoluzione. Parlare di rivoluzione ambientale nel mondo della finanza e associarla alla dottrina cattolica sembra qualcosa lontano anni luce eppure non è così, infatti c’è un percorso molto chiaro che va in questa direzione e che nasce da molto lontano. Papa Francesco ha pubblicato una enciclica, la Laudato Si e, prima ancora, una esortazione post sinodale che si chiama Evangelii Gaudium. Entrambi questi testi si inseriscono in un percorso dottrinale - mi riferisco alla dottrina sociale della Chiesa - iniziato nel 1891 con la Rerum Novarum promulgata da Leone XIII; all’epoca l’Europa era totalmente sconvolta dalla prima rivoluzione industriale, si affacciava un nuova classe sociale, il proletariato, e emergevano problemi enormi legati alla dignità dell’uomo. Era possibile far lavorare i bambini nelle fabbriche, non c’erano diritti per i lavoratori e nemmeno il concetto di welfare. Il Papa con la prima enciclica sociale ha imposto una visione nuova, ha introdotto il tema della dignità dell’uomo legata al mondo produttivo, ha dato impulso alla nascita delle prime casse rurali, delle prime cooperative bianche. Da quella visione, nell’arco di una ventina d’anni, quelle idee iniziarono a marciare sul territorio e furono rivoluzionarie. Perché questo esempio? Perché quando la Laudato Sì è stata promulgata - nel 2015 - il Papa ha evidentemente preso spunto da una situazione nuova, enorme, grave. Una crisi ambientale e sociale al tempo stesso. Non è solo in pericolo l’ecosistema del pianeta, ma il genere umano, i suoi rapporti con la natura. Francesco lo ha detto chiaramente: non si potrà risolvere una crisi senza affrontare anche l’altra. Tutto è collegato. L’azione che ne consegue fa da filo conduttore ad una serie di iniziative e riflessioni fino a portare a una nuova coscienza. Nella enciclica verde il percorso che il Papa sta facendo fare alla Chiesa è di fare in modo che anche al mondo della finanza, del mercato e dell’economia, riescano ad avere chiari riferimenti valoriali e prospettive legate al Vangelo. Si parla di rivoluzione e non è un caso perché la Laudato si chiede all’uomo contemporaneo di salvare la terra facendo leva sul concetto di rete, di comunità, di rispetto. Significa introdurre il concetto della ecologia integrale e di cittadinanza ecologica nella coscienza dei singoli credenti. Il Papa chiede a ogni persona di buona volontà di intraprendere un radicale cambiamento negli stili di vita partendo dal fatto che il modello di riferimento economico attuale è quello che ha portato alla crisi ambientale, di conseguenza il consumismo e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali sono alla base della attuale situazione. I comportamenti suggeriti ai credenti che affiorano tra le pagine della enciclica sono molteplici. Non sprecare l’acqua, utilizzare i mezzi pubblici, non sprecare cibo, riciclare gli oggetti, piantare alberi ma anche fare attenzione a dove depositare i propri risparmi o a come spendere o investire il proprio denaro. Spendere denaro diventa così una scelta morale e da questo assunto si arriva al tema di oggi: Esg. Il Vaticano e così anche le conferenze episcopali da cinque anni a questa parte hanno cominciato a guardare con grande interesse ai social impact bond e alla finanza sostenibile. Alcune conferenze episcopali, per esempio, gestiscono già le proprie risorse finanziarie in questo senso, usando criteri ESG. In Italia ci sono diocesi molto avanti e altre che hanno iniziato da poco. In Trentino Alto Adige, per esempio, da anni si è intrapreso un sentiero finanziario etico molto innovativo, dove non si investono più denari in realtà legate all’industria fossile o a fabbriche di armi o ad altre realtà altamente speculative. Si guardano ai green bond e ai social bond. Alla base di tutto questo c’è un assunto, che anche l’economia deve avere un’anima. Apparentemente potrebbe sembrare un paradosso, ma secondo quanto ha affermato il Papa nella Laudato Si è invece possibile. In questa direzione una task force economisti a livello internazionale sono stati chiamati da Papa Francesco ad Assisi per analizzare e capire se la crescita economica la si può coniugare con la solidarietà e la sostenibilità del pianeta. La rivoluzione di Francesco è tutta qui e molto chiara: fare in modo che le decisioni chiave per il pianeta possano partire anche dal basso e non solo dall’alto. La coscienza ecologica della Chiesa è racchiusa in un movimento destinato ad ampliarsi e diventare globale, un movimento che si sta diffondendo sul territorio e che, progressivamente, sarà capace di esercitare pressione sulla politica, sulla finanza e sull’economia al fine di renderle sostenibili. C’è un punto preciso nell’enciclica, il numero 206, in cui si dice chiaramente che “un cambiamento negli stili di vita potrebbe esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori. Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. Per questo oggi il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi”. L’ultimo intervento è stato quello di Gianmario Crescentino, Presidente di Assirevi, il quale sostiene che a suo parere ci sono nelle esg sia elementi rivoluzionari, sia aspetti evolutivi: “ Dal punto di vista della tecnica normativa c’è sicuramente una componente di accelerazione. Un tema di gradualità e di rispetto delle esigenze di sistema, che occorre evitare di mettere in crisi, è importante nel contesto degli obiettivi di fondo. C’è un tema di grande cambiamento culturale che viene richiesto alle imprese per evitare che l’esg sia solo uno slogan di facciata senza andare al cuore dei problemi. Vi è anche un tema di evoluzione del pensiero economico aziendale di questi ultimi anni: quando ero studente trovava ampi consensi la tesi secondo cui ‘the business of business is business’ – e quindi il compito fondamentale delle aziende è fare profitti e gestire il proprio business. È invece compito dei legislatori e dei regolatori, nel quadro normativo di riferimento, creare le condizioni necessarie affinché l’operare dell’azienda sia conforme agli obiettivi di interesse pubblico. La prospettiva in questi anni si è drasticamente 15 rovesciata, passando da una visione di shareholder capitalism a una dimensione di capitalismo degli stakeholders. C’è tanto dal punto di vista culturale che muove questo fenomeno e che fa sì che certamente si possano individuare elementi che possiamo definire rivoluzionari, perché per certi versi mutano molto la prospettiva. Si è parlato molto negli interventi precedenti del regolamento europeo sulla tassonomia, che sta avendo sviluppi ed è un punto di partenza solo apparentemente tecnico, nel senso che tramite questo strumento normativo si assumono anche scelte politiche e industriali impattanti sull’economia in Europa. Si è anche parlato del regolamento europeo che riguarda gli intermediari finanziari: è anch’esso uno strumento molto importante in questo mosaico perché rende obbligatorie informazioni in una logica innovativa rispetto al passato. Si parla inoltre di governance, perché è necessario che gli organi aziendali mettano in atto processi e sistemi di monitoraggio che rispettano questi obiettivi di lungo periodo, consentendone il raggiungimento al di là della pura massimizzazione del profitto. Vi è poi un progetto ambizioso dell’unione europea che prevede sotto il profilo del reporting la necessità delle imprese di rendicontare all’esterno il raggiungimento o meno di certi obiettivi nel rispetto di quella che sarà la proposta di direttiva lanciata dalla commissione europea. Quest’ultimo tema è particolarmente importante perché parliamo ancora di tematiche di reporting e ci stiamo muovendo a ritmi sostenuti da esempi di informativa non finanziaria intesa a corredo del bilancio tradizionale a una prospettiva di vero corporate reporting integrato per rispondere a esigenze di mercato. La proposta di direttiva elaborata dalla Commissione Europea, ancora da finalizzare e in corso di dibattito con gli Stati membri, prevede un ampliamento molto significativo del perimetro di applicazione rispetto a ciò che è attualmente in vigore. I primi calcoli ci dicono che dalle 10.000/11.000 imprese a livello europeo che oggi sono soggette alla disciplina passeremo a 50.000 imprese che saranno assoggettate a questi nuovi obblighi, con un ampliamento molto significativo delle materie e degli oggetti che devono costituire oggetto di reporting da parte delle imprese e quindi con un incremento di complessità da un lato e di trasparenza dall’altro, rispetto a quello che oggi accade. Un altro tema importante – e strettamente connesso – è quello della predisposizione di standard uniformi di rendicontazione, perché la lezione che abbiamo imparato da questi primi anni di applicazione è che chi è soggetto oggi a qualche obbligo di disclosure in ambito esg lo fa riferendosi a molteplici standard, non necessariamente coerenti o compatibili tra loro. Altro argomento importante è la previsione di una maggiore assurance esterna di queste informazioni, che le imprese dovranno fornire avvalendosi di revisori indipendenti; fino a oggi gli unici stati membri che hanno ritenuto di adottare una qualche forma di obbligo di assurance delle informazioni esg sono Italia, Francia e Spagna, ma con la nuova proposta di direttiva anche tutti gli Stati membri e tutte le imprese che vi operano saranno soggetti a questo obbligo. È chiaro, anche qui, che l’impatto di questa tematica e dei conseguenti nuovi obblighi è molto significativo e con questo ci dovremo confrontare. Questa è una tematica saldamente nelle mani della Commissione Europea, che ne ha fatto un elemento qualificante del suo programma. Credo sia opportuno ricordarci sempre che come Paese possiamo svolgere un ruolo più incisivo di quello che tradizionalmente siamo stati abituati a svolgere nei confronti dell’Europa, perché temi come la tassonomia definiscono linee di politica industriale che poi ricadono sull’Italia e sugli altri paesi. Perciò sarebbe opportuno essere certi che dal momento in cui quei provvedimenti vengono elaborati ci siano i giusti input anche dal nostro paese. Questo perché, come tutti sappiamo, gli interventi nella cosiddetta ‘fase ascendente’ dei provvedimenti comunitari, in cui non sempre il nostro Paese ha saputo far sentire la propria voce con tempestività, sono assai più efficaci degli interventi in fase discendente. In questa materia in particolare sono in gioco interessi importanti, nei quali occorre trovare una giusta sinergia fra sistema nazionale da un lato e sistema comunitario dall’altro. Un secondo aspetto importante è il tema della gradualità di questi interventi: non c’è dubbio che la platea dei soggetti interessati si amplia a dismisura, anche perché gli obblighi che fanno carico agli intermediari finanziari finiscono per attrarre anche una serie di piccole aziende della filiera delle grandi aziende che vengono a loro volta richieste di fornire informazioni in larga misura simili a quelle delle grandi: quindi l’impatto è molto più significativo di quanto possa a prima vista apparire. È chiaro che da un lato sarebbe folle cercare di resistere a un fenomeno la cui direzione è chiaramente tracciata, ma questo non esclude che una serie di ragionamenti possano essere sviluppati con la commissione europea per far sì che l’evoluzione, in una prospettiva da tutti auspicata, di questo sistema di norme e di regole non sia tale da imporre gravami particolarmente onerosi agli operatori di piccole e medie dimansioni. Ritornando al tema degli standard di rendicontazione, e quindi alla proposta della Commissione Europea di prevedere standard omogenei in tutta Europa, un ultimo argomento importante che ha ricadute significative muove dall’osservazione per cui l’Europa sta facendo da apripista ed è su questi temi in una chiara posizione di vantaggio rispetto alle altre grandi aree dell’economia mondiale. È tuttavia chiaro che un’Europa che non si confrontasse a sufficienza o non tenesse sufficientemente conto delle posizioni assunte dagli altri principali player dell’economia internazionale – in primis gli Stati Uniti, che con Biden sono ritornati a pieno titolo nel dibattito, e il mondo asiatico – e quindi della necessità di adottare standard di rendicontazione pensati a livello globale, potrebbe rischiare di porre le imprese europee in una posizione di svantaggio competitivo rispetto agli altri due grandi blocchi”. In conclusione possiamo dire che in questo webinar hanno ‘vinto’ i rivoluzionari rispetto agli evoluzionisti.



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