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  • Immagine del redattoreGiulio Centemero

Webinar “Il mercato in (the) house”

Aggiornamento: 4 mar 2022



Durante questo incontro abbiamo parlato delle società in house, l’idea è venuta fuori da una mia interrogazione parlamentare al MEF, dove chiedevo se le società in house fossero quotabili o meno. Il webinar è iniziato con il consueto saluto del senatore Alberto Bagnai, poi è intervenuta l’avvocato Simona Barchiesi che ci ha spiegato che cosa sono le in house e come funzionano, l’avvocato Andrea Messuti che ha affrontato il tema in modo specifico, l’ingegnere Enrico Pezzoli di Como Acqua per poi concludersi con l’onorevole Fragomeli, del Pd, che sta pensando di presentare un’ulteriore interrogazione sul tema delle in house. Il senatore Alberto Bagnai, dopo aver ricordato la natura giuridica delle società in house (società di capitali a totale partecipazione pubblica che hanno il vincolo di svolgere l’80% della loro attività a servizio di un ente pubblico e sono soggette ad un particolare regime di controllo da parte dell’amministrazione pubblica), ha evidenziato come questa realtà apparentemente di nicchia svolga un ruolo molto importante e a contatto con la vita dei cittadini, portando ad esempio Como Acqua, presente col suo a.d., che opera nel settore dell’erogazione di servizi idrici, un settore con cui ogni cittadino quotidianamente si relaziona. Bagnai ha ricordato come la materia sia molto intricata perché oltra all’aspetto finanziario dell’eventuale coinvolgimento di capitali privati in queste realtà, c’è anche un tema giuridico molto discusso in giurisprudenza, riferito all’affidamento diretto (cioè senza passare per procedure a evidenza pubblica) di servizi a queste società. Va quindi valutato quanto il coinvolgimento del capitale di soci privati possa essere compatibile con questo tipo di procedura, un tema intricato che coinvolge diversi livelli di produzione legislativa. L’avvocato Simona Barchiesi successivamente ha dato una definizione di società in house, come funzionano e perché sono utili: “Il termine in house ad oggi può significare varie cose: va bene puntare l’attenzione verso le società in house ma conviene fare un passo indietro perché in realtà questo termine, che nella sua versione estesa è in house providing, non si riferiva al soggetto, l’organismo in house, quanto più a monte, alla modalità di affidamento ad esso di un contratto. Si tratta, infatti, di una modalità alternativa di approvvigionamento di beni, servizi, o opere da parte della PA, alternativa rispetto al contracting out, cioè all’approvvigionamento sul mercato. Nasce nell’ordinamento anglosassone e comunitario e si basa sul principio, tuttora condiviso e diffuso, per cui le pubbliche amministrazioni sono libere di scegliere le modalità di approvvigionamento, senza che vi sia una necessaria preferenza per l’una o l’altra alternativa. Ma visto dalla prospettiva della disciplina dei contratti pubblici, soprattutto quella di matrice comunitaria, l’in house costituisce – più che una modalità alternativa di approvvigionamento – una deroga alla procedura di gara, e dunque un’eccezione da giustificare e motivare. Si tratta di un istituto che si è andato elaborando e affinando la parte della giurisprudenza europea della corte di giustizia, che ha individuato presupposti e condizioni per ritenere legittima tale forma di affidamento. I tre requisiti essenziali sono: il controllo analogo, cioè il rapporto particolarmente penetrante che deve intercorrere tra la pubblica amministrazione controllante e il soggetto in house, cioè il soggetto controllato. Il controllo analogo, secondo la giurisprudenza della corte di giustizia e nazionale, non si sostanzia in un mero controllo societario (cioè quello che esercitano tutti i soci rispetto alla società partecipata) ma in un controllo strutturale e organizzativo sull’attività, e che comporta l’esercizio di poteri di direzione, di vigilanza, preventiva, contestuale e successiva. Il requisito si è affinando col tempo, grazie anche alla giurisprudenza, ed ora il controllo può essere esercitato anche congiuntamente da più pubbliche amministrazioni rispetto al medesimo soggetto. L’altro requisito è quello della attività prevalente del soggetto in house, che deve essere svolta in favore dell’Amministrazione controllante; la corte di giustizia in orine parlò di attività più importante, affermando che il soggetto controllato deve svolgere la parte principale della propria attività in favore dell’ente controllante nell’esercizio di compiti che questi gli affida. Con il tempo ha specificato che il termine “più importante” dovesse intendersi come attività “pressoché esclusiva” e che la parte residuale dovesse essere minima, quasi insignificante. Ad oggi, la disciplina prevede che oltre l’80% dell’attività debba essere rivolta in favore dell’ente affidante, mentre la parte residuale del 20% può essere rivolta ad altri compiti che, però, il legislatore nazionale ha limitato, destinandoli esclusivamente ad attività che consentano di ottenere recuperi di efficienza o economie di scala. Il terzo requisito è quello relativo alla titolarità del capitale sociale, che nella giurisprudenza della corte di giustizia è stato declinato nel senso della totale partecipazione pubblica. Questo perché nell’ottica della corte di giustizia, la presenza di capitale privato farebbe venir meno il requisito del controllo analogo, dal momento che l’inserimento di un interesse privato e “lucrativo” distrarrebbe rispetto all’interesse pubblico, che comunque il soggetto in house deve condividere con l’ente affidante. L’ingresso di capitale privato, poi, avrebbe anche effetti sul piano concorrenziale, perché il soggetto privato che ha una partecipazione, seppur minoritaria, nel soggetto in house gode di affidamenti diretti e, dunque, di un vantaggio competitivo rispetto agli altri operatori del settore. È per questo motivo che quote anche minime di capitale privato sono state reputate non in linea con l’istituto dell’in house. Tuttavia, a livello sia europeo sia nazionale ci sono delle aperture perché ad oggi la presenza di capitale privato è astrattamente consentita e dovrà essere prevista da norme di legge. Il capitale privato non potrà avere un ruolo dirimente, in termini di poteri di controllo e di veto, ma rispetto alla preclusione originaria si registrano degli spiragli di possibilità. L’approccio restrittivo dell’ordinamento europeo ha trovato riscontro anche nel legislatore nazionale, che ha introdotto altri vincoli e aggravi procedimentali per l’affidamento in house. Ad esempio, è stato istituito presso l’Anac un albo in cui devono iscriversi gli enti pubblici che affidano contratti “direttamente” ai propri soggetti in house; e a tal fine deve essere presentata una cospicua documentazione (statuto, patti parasociali e altri atti societari) che consenta all’Autorità di verificare che sussista un controllo analogo effettivo e un effettivo condizionamento sull’attività e l’amministrazione del soggetto in house. L’iscrizione non costituisce un’autorizzazione da parte dell’Autorità ma costituisce 25 comunque una sorta di supervisione e vigilanza idonei ad aggravare l’affidamento. Oltre a ciò, è fatto obbligo per gli enti che intendono affidare in house di motivare le ragioni di questa scelta: tale motivazione non concerne, ovviamente, la sussistenza delle condizioni per l’ in house – che devono necessariamente sussistere – ma la congruenza, la qualità dell’offerta del soggetto in house, l’assenza di alternative sul mercato, dunque il fallimento del mercato, il beneficio per la collettività di quella determinata forma di affidamento. Insomma, è una motivazione particolarmente consistente e rilevante, ed è per tutte queste ragioni che l’in house, dal costituire una mera modalità solamente di approvvigionamento, è diventata oggi un modello organizzativo dell’attività amministrativa. Oggi parliamo di soggetti in house perché l’attenzione si è spostata dalla modalità di affidamento e dai suoi requisiti al soggetto affidatario, che diventando il punto terminale di questa modalità di esercizio dell’attività amministrativa, è stato via via vincolato dal legislatore attraverso l’estensione di principi e regole normalmente dettate per la pubblica amministrazione: penso, ad esempio, ai principi in materia di assunzione, per cui il soggetto in house è tenuto ad operare non già come un imprenditore privato ed in caso di necessità di aumento di personale deve comunque fare una selezione pubblica e trasparente. A ciò si aggiunga che la società in house, per i propri approvvigionamenti, deve procedere secondo il codice dei contratti pubblici, cioè svolgere procedure di evidenza pubblica. Alle società in house, poi, si applicano tutta una serie di regole in tema di trasparenza e pubblicità della propria attività. Tutto questo per dire che, a fronte di un principio, assolutamente condiviso e unanime nel nostro ordinamento, per cui la pubblica amministrazione può agire anche con modelli e strumenti societari, tale facoltà è invero piuttosto ostacolata se si considera che i vincoli che l’ordinamento ha posto alle società in house sono difficilmente compatibili con le esigenze imprenditoriali. E sulla base di questo approccio è probabile che ci sarà un’ulteriore stretta sulle società in house, in particolar modo nel settore dei servizi pubblici locali, il settore principale in cui operano tali soggetti: sia nel documento che il governo ha delineato per il Pnrr, sia nella bozza di legge sulla concorrenza che è circolata nei giorni scorsi si prevede, infatti, un rafforzamento degli oneri motivazionali in caso di scelta in favore del soggetto in house, accompagnato dall’obbligo di trasmissione in via preventiva all’autorità antitrust. Si tratta di previsioni che – laddove confermate – graveranno moltissimo sul settore dei servizi pubblici locali, settore nel quale quello che dovrebbe guidare l’intervento del legislatore è il tema dell’efficienza e non già quello della natura pubblica o privata del soggetto o della modalità di selezione; e su questo tema, certamente possiamo ancora fare qualche passo in avanti”. L’avvocato Andrea Messuti ha poi preso la parola, illustrando lo spirito dell’interrogazione che abbiamo presentato in Parlamento sul tema: le società in house sono quotabili e possono avere un mercato, non solo come cliente ma anche come datore di lavoro – azionista?: “Molte di queste società in house operano nelle attività della nostra vita quotidiana, come per esempio nei servizi pubblici essenziali come le acque e la raccolta dello smaltimento dei rifiuti. La normativa italiana non preclude l’apertura del capitale al privato seppur nei limiti che sono stati detti, quindi ci deve essere una minoranza e non deve avere potere di controllo o di veto. Questo perché anche se la norma lo permette, la stessa norma dice che tuttavia deve essere prevista l’apertura del capitale privato con un’altra legge sostanzialmente: se da una parte dice che è ammesso all’interno di certi limiti dall’altra ci deve essere una norma di rango primario che lo permetta. Ma perché è venuta fuori la riflessione sul, se e come, aprire il capitale privato nelle società in house? Perché si è immaginato una quotazione in borsa? Su alcuni aspetti le società che vanno a quotarsi in borsa, sia sui mercati regolamentati sia sui mercati non regolamentati, cioè gli mtf, hanno molte di quelle caratteristiche che prima venivano citate come modello organizzativo. In Borsa hanno infatti la necessità di essere competitivi sul mercato ma soprattutto di essere trasparenti, come se fossero in vetrina. Dall’altra c’è un ente o meglio un’autorità che si chiama Consob che verifica: la trasparenza, gli abusi di mercato e quindi applica la normativa tecnica nonostante sia complessa. Alcune società in house svolgono un’attività nei confronti del cittadino e hanno degli interessanti piani di sviluppo. Per sviluppare questi piani devono sostanzialmente fare due cose: chiedere ai soci pubblici di controllo (la mano pubblica che ulteriormente mette denari per far sviluppare una determinata attività in un territorio) oppure rivolgersi alle banche (quindi con un debito bancario). Abbiamo una strettoia per questo tipo di società. Il ragionamento quindi parte dall’assunto che non può venire meno il controllo analogo. Ragionare su che cosa devono fare le in house sul proprio territorio, non è un compito di tecnici ma della politica. Perché a queste società non si permettere l’apertura del capitale al fine di investimenti sul territorio? Ci sono privati a livello di fondi istituzionali che sarebbero ben interessati a sviluppare dei business plan. La norma oggi indica che deve esserci proprio una previsione legislativa. Per le caratteristiche che sono proprie di una ipo e alcune declinazioni di modelli organizzativi (le assunzioni con trasparenza, dati pubblici…) abbiamo visto che non c’è differenza tra il modello organizzativo richiesto per il controllo analogo e le caratteristiche di una società quotata in borsa. Da lì è nato l’interesse ad approfondire il tema anche perché ci sono delle contraddizioni nella disciplina in house. Se poi se viene chiesto a queste società di sviluppare un business plan, questo ha una ristrettezza finanziaria. Perciò abbiamo ragionato sul tema della quotazione perché a differenza di quello accennato (cioè l’apertura di un privato non in processo pubblico) deve essere fatta una gara perché potrebbero tornare alla mente tutti quegli elementi accennati sull’anti concorrenzialità o sulla posizione privilegiata che un privato potrebbe avere qualora avesse una quota in una società in house. Questo però non avverrebbe in caso di quotazione: immaginiamoci una quotazione come la stragrande maggioranza, un flottante minoritario (20-30%) apertura minoritaria. Un soggetto quotato è trasparente di per sé, perché tutti possono comprare e vendere azioni e c’è una offerta a un pubblico indistinto. Dall’altra parte abbiamo il finanziamento del business plan, qualora ci fosse il presupposto di voler sviluppare il servizio che sto facendo per il territorio in cui questa società opera. La mano pubblica si vedrebbe sempre controllante e non verrebbe diminuito il controllo analogo in ragione della trasparenza che impone in Borsa un coincidenza di interessi e di norme applicabili sotto il profilo del fine. Un altro elemento importante è che non sarebbe sempre la mano pubblica a 26 finanziare queste società in house, ammesso e non concesso che potrà esserci questa apertura, è ovvio che il mercato investe per uno sviluppo in cui c’è un business plan serio. Il fine della nostra investigazione è quello di ragionare in un’ottica veramente a tutto tondo, cioè di vedere se il mercato e la mano pubblica possono convivere, soprattutto in questo settore, senza andare a ledere interessi che sono pubblici, ma soprattutto forse portando quelle necessità che il mercato ha, di necessità e di trasparenza e di sviluppo propri della normativa delle società quotate”. Successivamente è intervenuto l’ingegnere Enrico Pezzoli che ha parlato di una vera società in house: Como Acqua, di cui è Presidente e Amministratore Delegato, quindi il punto di vista dell’impresa: “In virtù dell’attività che svolgo capisco di dover offrire uno sguardo concreto sulle criticità effettive che si riscontrano nell’attuale scenario. Da un lato l’apporto di capitale di terzi potrebbe effettivamente avere, una rilevante incidenza nello svolgimento delle funzioni e servizi, e più in generale nell’efficientamento del sistema di una gestione in house e dall’altro quella – coincidente con la realtà territoriale in cui opero - in cui un contributo economico sempre favorevole in termini generali, non sempre però rappresenterebbe una soluzione alle principali problematiche che caratterizzano di fatto l’andamento di una società che opera in house. Ancor prima è necessario andare a differenziare due soluzioni diverse fra loro: l’ipotesi in cui l’ingresso di capitali privati si concretizzi attraverso aumenti di capitali, in partecipazioni meramentea scopo di finanziamento ( cosidette azioni di categoria B), rispetto alla seconda soluzionein cui a ciò si accompagni anche una partecipazione di stampo industriale, ossia di un concreto apporto alla struttura gestionale. Nello scenario attuale sussistono senza dubbio realtà in cui un mero supporto economico di terzi potrebbe giovare sull’andamento societario, non ne ho dubbi; ma sussistono altresì situazioni in cui le criticità principali prescindono del tutto dal profilo economico – gestionale e vanno ad agganciarsi, invece, a problematiche di tutt’altra natura, proprie dei settori regolamentati, quale è quello idrico in cui opero. Dobbiamo anche tener conto che, se il problema oggi è quello economico il sistema creditizio è già molto propenso a finanziare i settori regolamentati non penso quindi che soluzioni diverse interessino alle società in house pubbliche dove oggi si può perfino accedere con una certa facilità ai finanziamenti BEI. CDP e in futuro ai fondi PNRR. Dobbiamo tener conto anche di un altro dato importante: le società partecipate di oggi sono circa 4000, di cui il 50% a capitale pubblico, hanno una concentrazione maggiore al nord e negli ultimi due anni c’è stata una contrazione di queste del 20%. Se andiamo a vedere il dato di queste società partecipate il risultato è più che positivo in termini economici, soprattutto quelle lombarde nel settori idrico. Bisogna quindi cercare di porsi delle domande su queste problematiche di altra natura, sganciate dalla logica dei costi e chiedersi quali sono, da cosa originano, quali problematiche oggi tendono a svantaggiare i soggetti che operano in house nei settori regolamentati, piuttosto che chiedersi quali sono i limiti effettivi che non consentono a una società che riveste il carattere pubblico di muoversi al pari degli altri soggetti liberi sul mercato, cosa darebbe un reale impulso in avanti alle attività di una società in house? Esistono dei vincoli, dei limiti ineliminabili, che nessun finanziamento economico può scardinare? Sì, esistono, e, a parte realtà specifiche in cui sussiste anche una necessità economica, non si tratta di vincoli economici, ma di vincoli giuridici, di natura legislativa (nazionale e comunitaria), imposti in forza di una precisa ratio, a tutela di determinati principi di sistema. Principi essenzialmente di controllo, principi di minimizzazione dei rischi imprenditoriali che la libertà di mercato e le strategie industriali possono comportare, principi cardine del sistema di diritto pubblico, che bene o male tutti qui conosciamo. In determinati settori (penso al settore dei rifiuti) la legislazione potrebbe effettivamente allentare e consentire maggior libertà di gestione, andando serenamente ad affidare i servizi pubblici a società miste, assoggettabili alle logiche della concorrenza, che spesso stimola l’efficienza degli operatori. In altri settori, invece, ritengo che il bene che la legislazione mira a tutelare impedisca un’apertura simile. Nel settore idrico, ad esempio, l’importanza di una risorsa comune che tende a scarseggiare richiede una protezione stringente, tale proprio per impedire che le logiche di mercato possano favorire una vocazione commerciale, con il rischio che la risorsa venga dissipata senza un peculiare controllo gestionale (che passa anche attraverso il binario finanziario). Non ho la presunzione di fornire oggi risposte assolute alle varie domande che ho posto, ma concludo osservando che trattiamo un argomento certamente destinato ad essere approfondito ed evolversi… e in una situazione simile porsi oggi le giuste domande è già un buon punto di partenza per giungere domani a individuare le giuste risposte. Quindi l’ingegnere si ritiene assolutamente favorevole alle quotazioni in borsa di queste società ma crede che si debba fare una riflessione seria su quali tipologie di società e soprattutto in quali mercati. Successivamente è intervenuto l’On. Gian Mario Fragomeli, capogruppo Pd in commissione Finanze alla Camera che ha lavorato in passato su questo tema e che presenterà un’interrogazione al riguardo : “La mia interrogazione vuole porre l’attenzione su un tema che doveva essere affrontato. Siamo in presenza di un vulnus informativo, dato dal fatto che il testo unico delle società partecipate, è entrato nel merito di quella che è la costituzione e la partecipazione intesa all’interno delle società, e che meno definisce gli aspetti legati allo straordinario e rimanda su questo lato alle normative sulla società. Entriamo in un tema discrezionale in cui anche il Consiglio di Stato è intervenuto rispetto a quando sia giusto o meno adottare determinati strumenti delle società in house essendo comunque operazioni straordinarie che possono avere una rilevanza (questo non significa un cambiamento del capitale azionario e societario). Oggi è importante parlare di società in house, vista l’importante verifica conseguente alla legge: non sapevamo di avere nel panorama italiano una serie di società in house che fanno utili e sono importanti per il sistema, essendo i principali fattori di servizi essenziali sul territorio. Dobbiamo porre il problema di tenere confinate queste realtà di fronte a quella che è la grande sfida del PNRR viste le risorse straordinarie che verranno messe in campo. Bisognerà avere anche l’obiettivo di valorizzare e spingere gli investimenti privati. I quali lo possono fare tramite i veicoli societari, partecipando 27 a un sistema perfettamente concorrenziale dando una manforte a quelle che sono delle aziende pubbliche che funzionano e svolgono bene i propri servizi ma che hanno bisogno di fare un salto di qualità. Quando parliamo di salto di qualità differenziamo in due fattispecie: la prima è chiaramente di risorse finanziarie nel senso che anche la partecipazione di ordine finanziario al capitale può essere anche temporanea trovando anche delle modalità non troppo invasive rispetto alla norma che vuole tutelare la propria impresa pubblica. Vi è la necessità di dare strumenti a chi vuole investire in determinati asset remunerativi che prevedono dei finanziamenti pubblici importanti all’interno del PNRR meritano una particolare attenzione sull’aspetto più prettamente finanziario. In secondo luogo c’è l’aspetto operativo, molto spesso le difficoltà che possono avere le società pubbliche è quella di orientarsi su partner privati (e il cosiddetto socio operativo) nell’ottica di una grande sfida di servizi che devono essere implementati da qui al 2026. La norma dovrà incentivare le capacità di individuazione di soci privati operativi anche quotati in borsa che hanno sviluppato grandi potenzialità in determinati settori che possono sinergicamente lavorare con queste società per svolge determinati servizi. Possiamo dire che sull’individuazione del socio operativo non abbiamo particolari problemi di temporalità perché lo prevede già la norma: la selezione del socio operativo è temporanea e può essere quindi rinnovata. In questo caso l’onorevole si pone il problema dell’arco temporale di questa collaborazione, pubblica o privata, che può nascere e per questo bisogna costruire le modalità per il controllo su questi soggetti operativi o su altri soggetti che decidono di partecipare e finanziare le società in house. Le norme possono venirci incontro e risolvere molte delle problematiche che ci sono sul tema. Dobbiamo essere in grado di sviluppare ciò per andare controtendenza. Rispetto a quello che diceva prima l’avvocato e cioè che l’Europa nonostante i molti finanziamenti del PNRR ci dovrà essere la garanzia della concorrenza ma vogliono un po’ limitare le manovre o la possibilità di azione che hanno le società che svolgono servizi pubblici essenziali e locali. In questo caso mi trovo d’accordo perché se queste società hanno fatto veramente un gran lavoro e hanno le carte in regola per poter fare anche dei salti di qualità, dobbiamo creare delle norme per sviluppare collaborazioni rispetto a tutte le norme del controllo. Deve essere l’occasione per chiudere l’esperienza della gestione in house dei servizi pubblici locali o un finale di gestione sempre più marginale. Grazie al PNRR dobbiamo avere l’opportunità di sviluppare il disegno di legge sulla concorrenza per garantire a queste società lo sviluppo e il loro margine di azione. Il lavoro che ci aspetta sarà quello di formulare un’interrogazione per le operazioni straordinarie e fare in modo che le società in house possano essere al passo coi tempi rispettando tutti i vincoli pubblici e di controllo, individuando quali possono essere dei soggetti promotori dello sviluppo del territorio per cui fanno riferimento e anche di un’area più vasta. Questo poi deve essere calmierato rispetto al tema della concorrenza e anche su aspetti temporanei”. Il webinar si è poi concluso con una mia ultima domanda rivolta ad Andrea Messuti: “durante questo interessante intervento abbiamo toccato il tema del PNRR e delle risorse che andranno alla sostenibilità, alla transizione energetica e ai servizi alla persona in riferimento a quella che è una peculiarità italiana rispetto a questo tipo di società caratteristiche della nostra geografia economica. A questo punto sorge spontanea una domanda: perché non concepire una vera e propria Borsa per le in house o un segmento che rispecchi una il controllo analogo piuttosto che altri vincoli?”. Secondo Andrea Messuti: “Non ha idea se ad oggi un segmento particolare può essere volano positivo o una enclave. Mi occupo di ipo e ciò che comanda sono i numeri, la voglia di sviluppo e la potenzialità di crescita. Idealmente si tratta di un tema politico non di mia competenza. Quello che però ritengo sia importante è capire se, come ha detto l’onorevole Frangomeli, il mercato e i servizi possano coesistere rispetto a altre fonti di approvvigionamento, e se come sosteneva il dottor Pezzoli, riusciamo ad avere un certo tipo di approvvigionamento e di finanze per andare a svilupparle. C’è l’impossibilità di svilupparsi in un’ottica di diversificazione della raccolta del capitale perché andremmo verso un’ottica di aumento capitale e di un ingresso della finanza all’interno della società. Per il socio operativo deve essere fatta un’ulteriore considerazione, i soggetti che investono in Borsa, sia il cosiddetto retail o investitori qualificati, hanno tutti in mente tutt’altro che comandare e gestire. Guardano un business plan interessante per creare valore. Se il management è skillato e in gamba non hanno alcun tipo di problema perché loro sono soci solo finanziari. Quindi la vedo come una coesistenza in cui bisogna ragionare con un socio operativo. Si tratta di un fattore politico, però dal lato emittenti dobbiamo provare a ragionare sull’assunto che non deve essere, come diceva il dottor Pezzoli, mercificato il tipo di servizio. Bisogna contribuire allo sviluppo del dialogo tra privato e pubblico anche per un alleggerimento della mano pubblica. Avere un aiuto del privato allo sviluppo di temi industriali è un tema molto suggestivo che già questa interrogazione e a maggior ragione il preview che ci ha fatto un onorevole su ciò che lui sta esaminando, è un bel dialogo che può trovare favore nel Pnrr e avere un ritorno, e non solo per le società in house, ma anche per i territori.


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